Fabri Fibra multato per un testo rap: cosa significa davvero questa sentenza?
Ok, facciamo ordine: cosa è successo?
Yes, è successo davvero: Fabri Fibra è stato condannato per diffamazione a causa di un suo testo del 2013. Il brano incriminato è “A me di te” (album Guerra e pace), in cui prendeva di mira – tra gli altri – anche Valerio Scanu. E no, non era uno dei soliti dissing da rap game: qui si parla di una sentenza definitiva della Cassazione e di 70.000 euro di risarcimento che Fibra e Universal Music dovranno sborsare. 💸

Ma quindi non si può più scrivere niente?
Ecco il punto: questo è il primo caso in Italia in cui un rapper viene condannato per il testo di una sua canzone.
Un precedente gigante. E potenzialmente pericoloso.
Perché ok, Fibra non è esattamente famoso per i toni gentili (spoiler: non è Biagio Antonacci), ma chi ha ascoltato anche solo una delle sue tracce sa che provocare è parte del suo stile.
Satira, ironia, volgarità? Tutto incluso nel pacchetto.
Ma è arte o è offesa?
La domanda vera è questa.
Chi decide cos’è arte e cosa no?
Nel 2015, Fibra era già stato condannato con una multa e una prima provvisionale da 20k.
Ma ora si è arrivati a una cifra tripla, e a un no secco dalla Cassazione a ogni ricorso.
Eppure, altri artisti – tipo Marco Mengoni all’epoca – avevano risposto al rapper con un pacifico “non me ne frega un c***”. Fine della storia. Nessuna causa, nessun polverone.
Il problema più grande? I precedenti (spoiler: non quelli musicali)
Siamo sicuri che questo tipo di sentenze non stiano scavando sotto qualcosa di molto più serio?
Nel 2024, un gruppo che cantava “Bella Ciao” è stato fermato dai carabinieri.
Alcune scuole non possono più parlare dei referendum.
E intanto, una canzone di dodici anni fa porta a una condanna con risarcimento.
Stiamo mettendo mine sotto la libertà di espressione, e nemmeno ce ne accorgiamo.
Perché questo ci riguarda anche se non ascolti Fibra
Non è solo una storia da rap beef.
È una questione di libertà creativa, di spazio per dire le cose, anche quando danno fastidio.
E no, non è un “difendere tutto” a prescindere. Ma capire che l’arte può anche essere scomoda, e che il rischio di imbavagliare chi la fa è sempre dietro l’angolo.
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